domenica 21 novembre 2010

Fase 0.2

È un autunno grigio, ma ancora non fa veramente freddo. Una lieve brezza mi pizzica piacevolmente le guance finché salgo le scale, verso la cucina del nonno. Apre la porta e vengo investito da un tepore familiare.
La cucina economica è già accesa, la legna del campo, che ha raccolto durante l’estate, scoppietta dietro la porticina di acciaio. Credo che quella stufa sia vecchia come lui, o forse di più, ma gli scalda la sala da pranzo almeno per sei mesi all’anno. So che tra lì e le altre stanze della casa ci sono diversi gradi di differenza, perché al nonno piace il caldo, ma scaldare tutta la casa con la sua temperatura ideale costerebbe troppo. Non gli mancano i soldi, semplicemente è abituato da una vita a risparmiare. E poi lui ama il calore naturale e secco del legno che brucia.
Si siede a capotavola, dando le spalle alla cucina economica. Il suo posto è lì, in testa al tavolo. Quello è il posto del capo-famiglia e lui lo riempie tutto, come un re. La cucina è grande come può esserlo solo quella delle case di una volta, non potrebbe che essere così, altrimenti il tavolo non ci starebbe. Ci stanno dieci persone sedute attorno a quel tavolo. L’aveva fatto fare quando aveva una famiglia numerosa ed era certo che avrebbe sempre pranzato con le figlie e poi con i nipotini attorno. Ma ora prepara solo un terzo di tavolo, quello che basta per due – tre persone. Il resto resta vuoto. Per fortuna ogni tanto ci sono i giorni di festa, così lo riempie.
Mi parla del più e del meno. È felice, perché lo vado a trovare.
La nonna gli si avvicina e gli sistema i capelli bianchi sulla testa, abbozzando la riga da una parte con la sua mano amorevole. C’è tenerezza in quel gesto, anche se con le punte dure delle dita gli gratta un po’ il cuoio capelluto.
È tutto tondo mio nonno: la testa è tonda, la mandibola è squadrata ma senza spigoli, il naso è piccolo e tondo, gli occhi tondi, la pancia, pure quella è tonda. Anche il sorriso esprime una simpatica rotondità.
Ed è piccolo, quando si alza in piedi. È sempre stato piccolo, ma ora lo vedo più basso del solito, mi arriva sotto il mento. E io non sono certo alto, anche se la genetica paterna mi ha concesso qualche centimetro in più.
«Vorrei seguire il consiglio di tuo papà – afferma – allora mi sono comprato un quaderno dove riversare i racconti della mia vita…». È una bella cosa, penso, ma prima che glielo possa dire aggiunge: «Ci ho provato, ma… non riesco più a scrivere!»

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