giovedì 25 novembre 2010

Fase 0.3

Me lo aspettavo. Lo so da un po’ che fa fatica a scrivere. Sono un paio d’anni che il tratto di penna ha cominciato a rallentare sulle parole. Sui numeri no, quelli vanno ancora veloci, li traccia sul foglio grandi e ordinati, come ha sempre fatto. Ma le parole, quelle sembrano sempre più difficili da scrivere. È una questione fisica più che mentale: la testa va veloce, ma le mani rallentano. Non ci vede tanto bene da vicino e spesso sente un formicolio sulla punta delle dita. È normale, mi spiega, sono gli acciacchi della vecchiaia e di quella malattia con la quale convive da anni. Con la quale convivono quasi tutti gli anziani che conosco.
Mi intenerisce immaginarlo davanti al foglio bianco, con milioni di parole che si accavallano in testa, ma che non riescono a trovare la giusta strada verso il foglio.
Indugio e inconsapevolmente mi concentro sugli intrecci del suo maglione verde e marrone. L’ha fatto la nonna con i ferri da maglia l’inverno scorso e gli calza a pennello. Ha persino il colletto con tre bottoni in stile inglese.
Cerco di soffocare i miei pensieri per non lasciare che l’entusiasmo prenda il sopravvento.
La nonna con i ferri ha sempre fatto di tutto. Quand’ero piccolo mi faceva le babbucce, i pantaloncini da tenere in casa, il berretto, la sciarpa, le manopole e persino le coperte. Adesso che non servono più disfa le coperte, getta le parti usurate e con la lana recuperata fa i maglioni per il nonno. Perfettamente in linea con il principio neo-ecologista!
Capisco che lui sa già a cosa sto pensando. Non ho il coraggio di introdurre l’argomento, perché so che richiede un impegno troppo grande per me, almeno in questo momento.
Prende l’iniziativa e ci pensa lui.
«Tu sai scrivere. Io racconto a voce e tu scrivi – propone – tu, che scrivi così bene». Indugio. «Se hai scritto quel libro, sarà una passeggiata per te scrivere i miei racconti!».
Ha letto una specie di diario di viaggio che scrissi qualche anno fa, uno di quei testi che molti italiani tengono nel cassetto, incerti se renderli pubblici o tenerli per sé. Lo lesse tutto ad alta voce, così poteva sentire anche la nonna. Mi confida che è l’unico che ha letto dall’inizio alla fine.
Gli spiego che non può solo raccontare un breve episodio, mi dovrà un po’ descrivere anche i luoghi e le persone, le sensazioni, il contesto. Questo un po’ mi preoccupa perché ci sono stati eventi divertenti, ma anche molti drammatici, soprattutto legati alla guerra, e lui li rivive ogni volta, come se tornasse indietro nel tempo.
«Potremmo fare un po’ alla volta, mi piacerebbe, ci penso» gli rispondo.
Avrei una gran voglia di farlo, penso sia una cosa importante, che ne potrebbe venir fuori qualcosa di veramente bello. Ha avuto una vita straordinaria, che merita di essere raccontata. Mi devo convincere e devo organizzarmi con i tempi.
Il giorno dopo inizio a scrivere su questo blog “Lo faccio o non lo faccio?

domenica 21 novembre 2010

Fase 0.2

È un autunno grigio, ma ancora non fa veramente freddo. Una lieve brezza mi pizzica piacevolmente le guance finché salgo le scale, verso la cucina del nonno. Apre la porta e vengo investito da un tepore familiare.
La cucina economica è già accesa, la legna del campo, che ha raccolto durante l’estate, scoppietta dietro la porticina di acciaio. Credo che quella stufa sia vecchia come lui, o forse di più, ma gli scalda la sala da pranzo almeno per sei mesi all’anno. So che tra lì e le altre stanze della casa ci sono diversi gradi di differenza, perché al nonno piace il caldo, ma scaldare tutta la casa con la sua temperatura ideale costerebbe troppo. Non gli mancano i soldi, semplicemente è abituato da una vita a risparmiare. E poi lui ama il calore naturale e secco del legno che brucia.
Si siede a capotavola, dando le spalle alla cucina economica. Il suo posto è lì, in testa al tavolo. Quello è il posto del capo-famiglia e lui lo riempie tutto, come un re. La cucina è grande come può esserlo solo quella delle case di una volta, non potrebbe che essere così, altrimenti il tavolo non ci starebbe. Ci stanno dieci persone sedute attorno a quel tavolo. L’aveva fatto fare quando aveva una famiglia numerosa ed era certo che avrebbe sempre pranzato con le figlie e poi con i nipotini attorno. Ma ora prepara solo un terzo di tavolo, quello che basta per due – tre persone. Il resto resta vuoto. Per fortuna ogni tanto ci sono i giorni di festa, così lo riempie.
Mi parla del più e del meno. È felice, perché lo vado a trovare.
La nonna gli si avvicina e gli sistema i capelli bianchi sulla testa, abbozzando la riga da una parte con la sua mano amorevole. C’è tenerezza in quel gesto, anche se con le punte dure delle dita gli gratta un po’ il cuoio capelluto.
È tutto tondo mio nonno: la testa è tonda, la mandibola è squadrata ma senza spigoli, il naso è piccolo e tondo, gli occhi tondi, la pancia, pure quella è tonda. Anche il sorriso esprime una simpatica rotondità.
Ed è piccolo, quando si alza in piedi. È sempre stato piccolo, ma ora lo vedo più basso del solito, mi arriva sotto il mento. E io non sono certo alto, anche se la genetica paterna mi ha concesso qualche centimetro in più.
«Vorrei seguire il consiglio di tuo papà – afferma – allora mi sono comprato un quaderno dove riversare i racconti della mia vita…». È una bella cosa, penso, ma prima che glielo possa dire aggiunge: «Ci ho provato, ma… non riesco più a scrivere!»

venerdì 19 novembre 2010

Fase 0.1

Un paio di mesi fa parlo a mio padre dei racconti del nonno. Gli dico che mi piacerebbe conservarli.
Ma in che modo? Bisognerebbe fare un video di lui che racconta, perché come le racconta lui le cose non le racconta nessuno. Ti fa sfiorare le sue stesse emozioni, ti rende partecipe, aggiunge suspence, ti fa entrare nella storia.
Se è vero che ognuno ha un modo di esprimersi preferito, quello di mio nonno è il racconto a voce. Qualcuno si esprime bene scrivendo, altri suonando, altri cantando o disegnando. Lui riesce a raccontare conquistando chi ascolta.
Me ne accorgevo quando i clienti si scompisciavano dal ridere.
Me ne accorgo durante il pranzo di Natale, quando gli altri parenti restano estasiati ad ascoltarlo.
Me ne accorgo anche mentre provo a raccontare la storia, sempre la stessa, che lui mi raccontava nel suo lettone, quando nei pomeriggi d’estate mi obbligavano a fare il pisolino e io non volevo. Chi ascolta non rivive le mie stesse emozioni, non riesco a trasmettere lo stesso fascino.
Ma il video non va bene. Lo so io che non va bene. Lo scarto.
Lo scarto perché davanti alla videocamera il nonno si blocca, diventa impacciato, non gli piace, si imbarazza.
Lo scarto perché ho poco tempo. E so che se non lo faccio io non lo fa nessuno. Ma ho poco tempo.
Il tempo, la dimensione che preferisco, quella che si percepisce in modi sempre diversi, a seconda dei momenti della vita. La dimensione che per me, adesso, è così stretta.
Dico a mio padre che continuerò ad ascoltarli e li conserverò nella mia memoria.
Passa un mese.
Mio padre incontra suo suocero, mio nonno, e gli dice che dovrebbe scriverli i racconti della sua vita. Adesso che arriva l’inverno ed è a casa, adesso che, finalmente, ha tempo.
Mio nonno me lo confida e io gli dico che è una buona idea. 

giovedì 18 novembre 2010

Fase 0 - Genesi

Mio nonno faceva il tabaccaio. L’ha fatto fino a oltre 80 anni, per ben 40.
Dietro al banco della tabaccheria io ci sono cresciuto.
Quando ero piccolo, molto piccolo, lo aiutavo a compattare, pestandoli, gli involucri di carta delle stecche di sigarette. Così poteva svuotare lo scatolone una volta di meno. « Dai pesta tu – diceva – che io ho male alle gambe e non ce la faccio!». Che soddisfazione mi dava! Volevo che i miei piedi crescessero in fretta, così sarei diventato sempre più bravo a schiacciare la carta.
Appena imparai a scrivere i numeri mi fece fare i bigliettini con il prezzo delle sigarette. «Scrivi tu – diceva – che hai una bella calligrafia» e io ci credevo, e la calligrafia mi è venuta bella davvero.
Poi ho cominciato la scuola e al pomeriggio passavo sempre a fargli vedere i quaderni, per fargli vedere i voti, che dovevano sempre essere belli. Non lo volevo deludere. «Mi raccomando – diceva - calligrafia e tabelline». Mio nonno è arrivato fino alla quinta elementare. Ai suoi tempi era un bel traguardo, e sapeva le tabelline benissimo. Le tabelline le ha usate fino a 80 anni. Per i conti più complessi c’erano solo carta e penna, non ha mai usato una calcolatrice. «Cinque volte sette? Otto volte nove? Quattro volte sei?» mi interrogava, e io gli dicevo che le tabelline non me le insegnavano così. « E’ così che le devi imparare – rispondeva - perché è l’unico modo per poter fare i conti velocemente». A 83 anni faceva ancora i conti a mente con una precisione impressionante.
Ero adolescente quando cominciò a presentarmi alle ragazzine che venivano a prendersi le caramelle. «Buongiorno signorina! Ha visto che bel nipote che ho?». Io arrossivo, ma lui era così simpatico ed educato che ridevano e gli davano sempre ragione. «Allora te la sei trovata la morosa?» chiedeva e io gli raccontavo quello che potevo.
Nell’età delle marachelle io, almeno in paese, non ne potevo fare una che lui la sapeva prima di me.  La gente glielo andava a dire. «L’ho visto impennato in motorino» «Ma non dovrebbe essere a scuola stamattina?» e via così. Che peso a quell’età avere il nonno tabaccaio! Ma quando avevo bisogno di qualcuno, lui c’era. Sempre.
Forse è stata proprio la tabaccheria il fuoco di questo rapporto speciale. A volte non si parlava, ma eravamo assieme, e questo bastava. Quando non avevamo niente da dirci mi raccontava della sua vita. Quanti aneddoti, che vita intensa!
Io e lui a combattere in prima linea il giorno di mercato. Era un continuo via vai di amici suoi che lo venivano a salutare. E io ascoltavo i loro racconti, e li ascoltavo mentre cantavano assieme. Perché a mio nonno piaceva cantare. Ed era pure bravo.
Poi son diventato grande, e i discorsi son cambiati. E mio nonno mi ha consigliato. I consigli sani, quelli degli uomini di una volta.
Mio nonno ha pianto quando mi sono laureato. L’ho visto dalle foto. Lui, in piedi dietro di me, perché non riusciva a star seduto dalla tensione, con il bastone in mano e gli occhi rossi.
È stato un mio traguardo, ma anche suo. Voleva arrivare lì, a vedermi con l’alloro in testa.
Poi ha deciso di mollare l’impegno della tabaccheria. Per quarant’anni alle otto in punto è stato lì, rasato, vispo e ben vestito. Improvvisamente un giorno mi ha detto «Basta, adesso sto a casa con tua nonna!» «Ma almeno al mattino vai - gli ho risposto - almeno vedi gente, parli…».
Ma mi sono reso conto che i suoi amici, quelli d’infanzia, sono morti tutti.

martedì 16 novembre 2010

Lo faccio o non lo faccio?

Lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio - non lo faccio - lo faccio o no?